Dall’età della pietra all’età della pianta. Breve storia dell’Agricoltura.
Agricoltura come forma di aggregazione sociale
L’agricoltura ha contribuito nella storia a rafforzare i rapporti sociali e la stabilità dei popoli fin dai tempi della rivoluzione neolitica, risalente intorno al X millennio a.C., conosciuta anche come la prima delle rivoluzioni agricole che hanno caratterizzato la storia dell’umanità. La continua necessità infatti di produrre cibo dalla terra ha trasformato l’uomo preistorico da nomade raccoglitore e cacciatore ad agricoltore e allevatore stanziale. Vere Gordon Childe, archeologo australiano, fu il primo a documentare questa evoluzione e i suoi studi, riportati nella sua opera più importante “L’alba della civiltà europea” del 1925 (che riprende alcuni studi effettuati anni prima dall’archeologo James Henry Breasted e racchiusi nel suo libro “Ancient Times – A History of the Early World” del 1916, dove coniava per la prima volta il termine “Mezzaluna fertile“) diedero origine alla teoria della prima rivoluzione agricola della storia.
Nel periodo Paleolitico gli uomini avevano due forme principali di sostentamento: le specie vegetali che la terra offriva loro spontaneamente e la caccia. Ma nel 10.000 a.C., con la fine dell’ultima glaciazione, alcuni gruppi incominciarono ad organizzarsi per produrre quel cibo che ora, a causa della glaciazione, non era più disponibile. E non erano solo loro a non potersi più cibare di piante selvatiche, ma anche gli animali che cacciavano, e che proprio per questo motivo avevano iniziato a spostarsi in cerca di cibo. Ed è così che nacque l’agricoltura. Ci troviamo nella regione storica del Medio Oriente che va dall’Egitto alla Siria, e che comprendeva le valli più fertili dei quattro grandi fiumi della regione dove si estendeva appunto la mezzaluna fertile: Nilo, Giordano, Tigri ed Eufrate.
Le prime ad essere coltivate infatti furono proprio le terre ricche d’acqua dei bacini fluviali come il Nilo e la zona tra il fiume Tigri ed Eufrate, terre in cui germogliavano varie tipologie di cereali, dove il controllo dell’irrigazione dei campi era più semplice senza necessitare di grandi stagioni di pioggia e dove la terra poteva essere lavorata tutto l’anno. Ed è questo esperimento di agricoltura stanziale, il primo della storia dell’uomo, a dare origine alle prime comunità sociali, che divennero poi comunità sedentarie sempre più grandi ed estese, progressivamente strutturate in villaggi e città. Gordon Childe affermava che “la maggior complessità sociale si verifica come conseguenza alla sedentarietà dettata dall’agricoltura”. L’agricoltura dunque diventava motivo di aggregazione sociale, unendo l’esigenza dell’alimentazione alla sperimentazione delle tecniche di coltivazione.
La più importante innovazione introdotta in campo agricolo, descritta dallo stesso Childe, era la selezione delle colture locali e spontanee rese attraverso la domesticazione (di cui parleremo più avanti), tra cui l’orzo, il frumento e il lino. Ed è in quella regione che nacquero quei popoli che fecero dell’agricoltura la loro prima fonte di sostentamento: Egizi, Assiri, Babilonesi e Sumeri, quest’ultimi ritenuti i rappresentanti della prima civiltà stanziale della storia, i quali fiorirono in Mesopotamia verso il V millennio a.C.. I Sumeri fra tutti furono quelli che spinsero maggiormente sullo sviluppo dell’agricoltura, iniziando a basare la loro economia principalmente su quell’attività, anche vista la strategicità del luogo in cui si stanziarono (la parola Mesopotamia viene infatti dal greco e significa “terra in mezzo ai fiumi”). Li erano coltivate: cipolle, aglio, legumi, palme da dattero, olive da olio e orzo da birra. Mentre i terreni più difficilmente raggiungibili dall’irrigazione erano destinati ai cereali: orzo, frumento, farro. Addirittura le tavolette sumeriche, risalenti al 3500 a.C., raccontano l’evoluzione che hanno avuto alcune coltivazioni proprio in base agli aspetti ambientali che caratterizzavano quel territorio. Secondo quanto riportano, infatti, dal periodo proto-dinastico molti campi nei territorio pianeggianti della regione coltivati a frumento vennero abbandonati per eccessiva salinizzazione del terreno dovuta ai sali lasciati sui campi dall’acqua non drenata una volta evaporata. Tali zone vennero quindi dedicate alla coltivazione esclusiva dell’orzo, molto più resistente, mentre frumento e farro potevano essere coltivati fino al più estremo nord delle valli. Inoltre nei terreni più sfruttati vennero introdotte colture alternative, per aumentare la loro fertilità e la resistenza alle più avverse condizioni climatiche.
Dalla domesticazione alla moderna agricoltura
Furono proprio queste continue sperimentazioni che diedero origine alle tecniche agricole che conosciamo oggi, una fra tutte la rotazione delle colture, che prevede la variazione o l’alternanza di diverse specie di piante coltivate sullo stesso terreno, al fine di migliorarne la fertilità e garantire una produzione maggiore. E grazie a questa e ad altre tecniche che vennero sperimentate nel corso dei secoli (tra cui quella della consociazione delle piante, divenuta successivamente incompatibile con la meccanizzazione dei lavori agricoli con l’avvento della seconda rivoluzione agricola, ma ripresa solo di recente nell’agricoltura sinergica) fu possibile ampliare le varie specie di coltivazioni, fino a poterne importare delle altre facilmente adattabili, dando così vita al commercio delle spezie. In Europa ad esempio, durante il Medioevo, giunsero gran parte delle piante coltivate in questi luoghi, tra cui grano, piselli, olivo, riso e cotone, e con il movimento delle merci venne definita la domesticazione, grazie alla quale oggi abbiamo ereditato le varietà di specie vegetali che tutt’oggi consumiamo.
La domesticazione è stata la più grande selezione operata dall’uomo sulle specie vegetali, ed è tutt’ora il fulcro della nostra storia alimentare (il Big Bang dove tutto è iniziato) dove è appunto nata l’agricoltura che conosciamo oggi. Nel periodo in cui l’uomo ha iniziato a diventare stanziale infatti, proprio durante la rivoluzione neolitica, ha cominciato a selezionare le piante selvatiche scegliendo tra quelle giudicate più utili al consumo. Questo è stato possibile perché l’uomo è passato dallo sfruttamento iniziale delle risorse di cui era immediatamente a disposizione (caccia e raccolta) all’esigenza di controllare alcune dinamiche, tra cui la nascita delle piante, per non patire momenti di carestia. Ed è così che le popolazioni hanno iniziato ad approcciare all’agricoltura: prima con lo studio delle piante e poi con la selezione delle specie più facili da addomesticare. Childe racconta che le popolazioni di raccoglitori che abitavano nei territori della mezzaluna fertile iniziarono a privilegiare nella raccolta del grano selvatico quelle spighe anomale che, a differenza delle altre, non si aprivano una volta mature per lasciare cadere i semi a terra ma rimanevano chiuse. Questo in natura ne rendeva più difficile la riproduzione ma agevolava la raccolta, mentre in agricoltura era un fenomeno facilmente governabile, poiché il seme veniva raccolto dalla pianta a mano e riseminato. Dunque attraverso la coltivazione delle piante era possibile aumentare nel tempo la quantità del prodotto consumabile rispetto a quella raccolta dalle varietà selvatiche. La domesticazione fu il primo atto di controllo e gestione dell’uomo sulla natura, e diede via a ciò che poi divenne la moderna agricoltura. Col tempo le colture vennero tramandate, delocalizzate e si iniziò a sperimentare varietà autoctone anche in altre zone più complesse del pianeta, sfidando così il loro adattamento primordiale alle varie diversificazioni climatiche. Ed è proprio a causa di questo che le varietà hanno perso e continuano a perdere il loro codice genetico, facendo sì che le specie che oggi consumiamo maggiormente, come ad esempio il grano, siano drasticamente evolute rispetto a come erano anticamente. Basti pensare ai semi di cereali che oggi hanno una taglia che è dieci se non venti volte quella dei loro primitivi antenati.
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