Ma cosa c’entra il rame col biologico?
La domanda mi è sorta spontanea fin da quando sono entrato in questo mondo. Stiamo parlando del solfato di rame, un composto chimico a base di rame e zolfo, utilizzato in agricoltura come il più comune tra i prodotti fitosanitari. E per una stravagante legislazione europea è permesso il suo utilizzo soprattutto in agricoltura biologica, dove si utilizza per ovviare alla scarsità di prodotti fitosanitari chimici utilizzati nell’agricoltura convenzionale. Ma cosa c’entra il rame col biologico?
Andiamo per gradi.
Rame
Innanzitutto iniziamo col capire che cos’è il rame. Il rame è un metallo pesante, ossia un elemento chimico la cui densità è maggiore di 5 grammi per centimetro cubo e che ha un peso atomico maggiore di 20 u. Da sempre presente in natura, i suoi primi utilizzi risalgono a più di 10.000 anni, dove veniva impiegato nell’artigianato rudimentale. Col passare degli anni il suo utilizzo si è ampliato fino ad essere applicato come fungicida in agricoltura.
Ed è sulla base di questa premessa che nel paragrafo 6 della Direttiva europea n. 37/2009 sulla inclusione di sostanze a base di rame in agricoltura, viene stabilito il principio per cui:
“…..per quanto riguarda i composti di rame, il rame si trova in natura ed è un micronutriente essenziale. Il rame si accumula nel terreno e il livello di rame nel suolo può essere determinato, oltre che dall’apporto di prodotti fitosanitari, anche dall’allevamento di bestiame e dalla concimazione. Pertanto, è necessario che gli Stati membri introducano programmi di monitoraggio nelle zone vulnerabili, laddove la contaminazione del terreno da rame costituisce un problema, per fissare, se del caso, limitazioni quali valori massimi d’applicazione.”
E fin qui non farebbe una piega, se non fosse che il rame non è un minerale presente in elevate quantità sulla superficie terrestre. O meglio non nelle quantità assimilabili dall’uomo da consentirne il suo utilizzo indiscriminato su quello che mangiamo. I minerali del rame infatti si trovano nella crosta terrestre e la loro forma e concentrazione varia in base alla profondità a cui arriviamo: Nei 10km più esterni della crosta terreste, vi sono 33g per tonnellata di roccia, mentre nelle aree in cui sono localizzate le miniere la concentrazione è molto maggiore.
Utilizzo dei fitosanitari a base di rame
I composti rameici (idrossido, ossicloruro, ossido, poltiglia bordolese e solfato tribasico) nel 2009 sono stati iscritti nell’allegato 1 della Direttiva 91/414 (ora sostituita dal Reg. 1107/2009) che elenca le uniche sostanze attive utilizzabili nella formulazione dei prodotti fitosanitari nell’Unione Europea. In linea generale, l’agricoltura integrata ed i vari disciplinari regionali prevedono dosi massime fino ad 6 kg per ettaro l’anno di rame, questo vale anche per quanto stabilito per l’agricoltura biologica (Reg. CE 889/08 s.m.i.). In deroga a tale limite e solo per le colture perenni, in Italia (come in altri Stati membri) è stato autorizzato il superamento, in un dato anno, a condizione che la quantità media effettivamente applicata nell’arco dei cinque anni (l’anno considerato ed i quattro precedenti) non superi i 6 kg per ettaro.
Successivamente all’applicazione di tali norme è intervenuta con diversi pareri l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), la quale ha confermato la tossicità dei prodotti rameici per la salute e l’ambiente. E ciononostante, in barba al “Principio di precauzione“, si è continuato a derogare l’utilizzo di tali composti anche in agricoltura biologica, dove le alternative ai fitosanitari erano ritenute scarse. Infine nel 2015, anno in cui è stato pubblicato uno dei più importanti dossier in materia, queste sostanze sono state inserite tra quelle “da sostituire” nel breve termine, in quanto i dati in possesso dell’EFSA non avevano rilevato un solo riscontro negativo sulla tossicità di tali sostanze. Ma ciò non è bastato affinchè i paesi europei negli anni premessero sulla procedura per il rinnovo dell’autorizzazione per il loro utilizzo (all’esame di Commissione e Stati membri) e nonostante EFSA, chiamata per valutare i nuovi dati, avesse per l’ennesima volta confermano la pericolosità della sostanza. A gennaio 2019 sarebbe dovuta scadere l’autorizzazione all’uso dei composti del rame, ma con l’emanazione del Regolamento di rinnovo (Reg. di esecuzione 2018/1981) del 13 dicembre 2018, l’autorizzazione è stata prorogata sino al 2025.
Gli effetti del rame sulla salute
Il rame, si sa, è un elemento chimico indispensabile per l’organismo, poiché aiuta la normale attività del cervello, del sistema nervoso e cardiovascolare, favorisce il trasporto del ferro e la protezione delle cellule contro l’ossidazione. Ma il fabbisogno giornaliero stimato per un adulto è compreso tra 1,5 e 3 mg. Cosa succede quando ne assimiliamo in quantità eccessiva, ad esempio tramite il cibo che mangiamo?
Negli ultimi anni si sono studiati i sintomi da intossicazione dei metalli pesanti più comuni, e gli effetti riscontrati dall’eccessivo accumulo di rame nell’organismo sono stati: nausea, vomito, diarrea e febbre, irritazioni al naso, bocca ed occhi; cirrosi epatica, danni al cervello e ai reni, emicranie croniche. Le situazioni più gravi possono portare ad anemia emolitica e risultare fatali. In rari casi, in genere nei bambini, si può andare incontro a danni epatici o cirrosi. In alcuni casi l’eccesso di rame è dovuto soprattutto all’incapacità del fegato di eliminare questa sostanza attraverso la bile. La condizione che ne deriva è la malattia di Wilson, una rara patologia genetica che porta all’accumulo di rame nel fegato, nel cervello, negli occhi e in altri organi, causando tremori, difficoltà a parlare e a deglutire, problemi di coordinazione, cambiamenti di personalità o epatiti.
Il progetto “After-Cu”
Fortunatamente nel 2014 qualcosa si è mosso. La Commissione europea ha finanziato, con il fondo per l’ambiente LIFE+, il progetto After-Cu (acronimo di “Anti-infective environmental friendly molecules against plant pathogenic bacteria for reducing Cu”), con l’intento di promuovere la riduzione dei composti di rame tradizionalmente utilizzati come battericidi in agricoltura. Gli studi portati avanti dalla dottoressa in Scienze e Tecnologie Agrarie, Alimentari, Ambientali e Forestali Stefania Tegli hanno infatti rilevato che “oltre alla tossicità diretta dovuta al bioaccumulo del metallo nel terreno, l’uso ripetuto in agricoltura dei sali di rame come fungicidi e battericidi ha un effetto collaterale che mina la microflora degli agroecosistemi, aumentando così la percentuale di batteri antibiotico-resistenti, che finiscono col costituire una sorta di serbatoio di geni per l’antibiotico-resistenza. Questi geni sono presenti su elementi mobili del loro genoma, i plasmidi, che possono essere trasmessi con facilità anche ai batteri patogeni di uomo e animali, rendendoli così a loro volta resistenti agli antibiotici e vanificandone di fatto l’azione profilattica e terapeutica in medicina umana e veterinaria”.
Speriamo vivamente che queste conclusioni portino non alla semplice sostituzione di un elemento chimico con un altro, ma con una più ampia riflessione sulla domanda: “È giusto utilizzare metalli pesanti come fitosanitari in agricoltura biologica?“.
Le alternative ci sono, basta prenderne atto.
FONTI:
Industria del rame
Direttiva europea n. 37/2009
Parere di revisione EFSA su REG. N. 396/2005
Studio sui metalli pesanti
Gli effetti del rame sulla salute
Progetto After-cu